Superbonus 110%: soluzioni per le PMI ed i privati committenti, costretti a subire la tempesta perfetta.



Superbonus 110%: soluzioni per le PMI ed i privati committenti, costretti a subire la tempesta perfetta.

di Avv. Antonio Pinto - Patrocinante in Cassazione e giurisdizioni superiori

LA SINTESI DEL PROBLEMA AD OGGI.

Le banche non hanno spazio di manovra per concedere la cessione del credito perché hanno esaurito la tax capacity, ossia i volumi che possono portare in compensazione con i propri debiti fiscali. Le imprese non riescono a sostenere le spese dei lavori, anticipando le somme necessarie per dare esecuzione ai contratti stipulati. I privati che hanno affidato i lavori vedono le proprie abitazioni con i cantieri fermi e non sanno se e quando riprenderanno. E’ la tempesta perfetta ed occorre affrontarla in qualche  modo se non si vuole rischiare che il conto lo paghino – paradossalmente – solo le aziende oneste e serie che davvero hanno le competenze e la struttura per realizzare i lavori, nonché i cittadini incolpevoli che hanno fatto affidamento sul credito di imposta per avviare lavori che – senza la promessa del bonus - con le loro sole forze economiche, non avrebbero mai avviato.

Il rapporto sulla politica di bilancio 2022, preparato dall’Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb) ha fatto il punto su tutti i fondi stanziati finora per il superbonus, a partire dalla legge che l’ha istituito, il decreto Rilancio (Dl 34/2020). In totale, si tratta di 33,3 miliardi di euro. E’ accaduto che le previsioni di spesa per lo Stato sono state sottostimate, visto che le domande risultano già superiori a quella cifra ed il quadro di incertezza è aggravato dall’assenza «di un tetto massimo all’onere gravante sul bilancio pubblico». Ma se il tetto non c’è, le domande possono andare avanti. E non esiste limite sui conti pubblici. Questo elemento, unito all’assenza di norme che fissassero parametri certi per le imprese cedenti (il che ha favorito frodi enormi e continue), è stata una follia giuridica oltre che economica da parte di chi ha scritto all’epoca la legge sul Superbonus.

Se le piccole imprese non potranno incassare i 5,2 miliardi di crediti fermi nei cassetti fiscali, si perderanno 47mila posti di lavoro. L’impatto sull’occupazione nel settore delle costruzioni, a causa del blocco del sistema, rischia di essere drammatico.

LE NOVITA’ DEL DL AIUTI E L’IMPATTO SOLO PARZIALE CHE STANNO AVENDO.

La cessione dei crediti allargata per il superbonus 110% è diventata realtà pochi giorni fa e avrà una portata temporale ampia, puntando a sbloccare anche cessioni e sconti comunicate prima dell’entrata in vigore della legge di conversione del decreto Aiuti. E’ diventato infatti possibile il passaggio dei crediti dalle banche a tutti i soggetti diversi dai consumatori.

Adesso, la quarta cessione sarà possibile «a favore di soggetti diversi dai consumatori o utenti», che abbiano un conto corrente. In pratica, il bacino dei potenziali acquirenti si allarga, perché potrà acquistare i crediti chiunque eserciti attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale. In questo modo, imprese e professionisti diventano destinatari potenziali degli sconti fiscali e quindi si crea una valvola di sfogo che potrebbe sbloccare un mercato ormai quasi completamente fermo.

I crediti acquisiti, infatti, devono essere portati in compensazione. Vanno, cioè, impiegati per pagare imposte e contributi attraverso gli F24. Le banche, soggetti in fondo alla catena delle cessioni, quindi, devono avere una quantità di tasse da pagare che gli consenta di smaltire questa grande massa di crediti. È successo, invece, che questa capienza si sia andata via via esaurendo, anche per gli istituti più grandi. È stato necessario, allora, trovare un modo per allargare la platea dei cessionari e, quindi, la platea fiscale potenziale. Per questo oggi la cessione è stata resa possibile «a favore di soggetti diversi dai consumatori».

Un secondo elemento di novità positivo del Dl Aiuti è quello temporale perché oggetto della cessione è stato allargato anche ai crediti sorti prima dell’emanazione del Decreto Legge. Quindi  tutte le partite Iva in senso ampio, comprese imprese e professionisti potranno acquisire i crediti, anche relativi a spese effettuate nel corso del 2021 e comunque prima del DL Aiuti.

Resta tuttavia aperta la questione della responsabilità di chi acquista i crediti fiscali del superbonus. Le Entrate, con la circolare 23/E, nei giorni scorsi hanno spiegato che, in caso di frode nella formazione del credito, l’acquirente può essere solidalmente responsabile se non adotta un livello di diligenza che «dipende dalla natura del cessionario». Il rischio concreto è che l’impresa (o il professionista) che acquista dalla banca debba ripetere i controlli perché se ci sono problemi egli ne risponderebbe e quindi non incasserebbe il credito di imposta. Un’operazione ed un rischio che difficilmente gli acquirenti dei crediti vorranno accollarsi. E che potrebbe rendere quindi inefficace l’emendamento. Per sbloccare il mercato dei crediti, sul tema della responsabilità dei cessionari, andrebbe chiarito in sede di conversione del DL Aiuti che, ad eccezione ovviamente dei casi in cui vi è una compartecipazione dolosa a una qualche frode, chi acquista un credito non può essere chiamato a rispondere di nulla, altrimenti l’auspicato sblocco delle cessioni rischia di restare sulla carta. La responsabilità solidale dovrebbe esser esclusa almeno per chi acquista dalle banche (che si presume abbiano già fatto i controlli).

Sul tema della responsabilità dei cessionari dei crediti del Superbonus la Guardia di Finanza ha diramato ai propri reparti territoriali il 26.6.22 una nota di istruzioni, Nello specifico, la responsabilità dell’acquirente sussiste «in tutti i casi in cui quest’ultimo abbia omesso il ricorso alla diligenza richiesta per evitare la realizzazione della violazione e l’immissione sul mercato della liquidità di provenienza illecita». In questo quadro, a intermediari finanziari e soggetti «sottoposti a normative regolamentari» è richiesta l’osservanza di una diligenza particolarmente elevata e qualificata. La sussistenza della diligenza dovrà essere valutata anche sulla base di indici sintomatici della falsità del credito oggetto di compravendita: ad esempio, l’assenza di documentazione, la sproporzione tra valore dei crediti e valore dell’immobile, l’incoerenza tra reddito dei committenti e importi dei lavori, la mancata effettuazione dei lavori, eventuali anomalie sulle condizioni economiche applicate alla cessione dei crediti.

COME DIFENDERSI DALLE BANCHE CHE “RINNEGANO” IL CONTRATTO DI FINANZIAMENTO.

Lo snodo principale è la validazione delle società di consulenza a cui si sono rivolte le banche per verificare la correttezza della pratica. È un controllo che garantisce l’allineamento della documentazione presentata alla copiosa normativa. La validazione dei consulenti delle banche è uno snodo cruciale. Finché non c’è la validazione finale, non si arriva al contratto di finanziamento.

La banca, dopo la validazione dei consulenti, stanzia i soldi per la pratica del bonus; con quel denaro il cliente pagherà l’azienda edile, otterrà le fatture e, con il credito d’imposta generato dalla piattaforma dell’Agenzia delle Entrate, andrà ad estinguere in banca il finanziamento concesso. Oppure se vi è stato sconto in fattura l’impresa edile potrà direttamente finanziare i lavori con la cessione del credito ricevuto dal committente privato. Ma che succede se il plafond fiscale dell’istituto è finito? La banca può bloccare l’operazione? In linea generale, se si è stipulato il contratto la banca è obbligata e non può tirarsi indietro per il semplice fatto di avere “esaurito il plafond”. Se invece non si è giunti alla stipula del contratto di finanziamento, la banca può tirarsi indietro. Tuttavia occorre verificare – caso per caso – il contenuto del contratto di finanziamento e la condotta della banca. È importante che non vi siano ostacoli fra la cessione del credito alla banca e l’estinzione del debito. Bisogna controllare, ad esempio, se vi siano clausole che consentano all’istituto di non accettare la cessione del credito o peggio di revocarlo, ecc..

In secondo luogo, è chiaro che il contratto con la banca non si può cambiare ma si può sempre rinegoziare, anche minacciando – ad esempio ed a seconda dei contenuti dei contratti - una eccessiva onerosità sopravvenuta, oppure il venir meno di una presupposizione essenziale, ovvero di esser stato indotto in errore, oppure di esser stato indotto a fare affidamento su una condotta della banca che è invece rimasta inerte o inadempiente (si pensi al caso di un contratto deliberato positivamente dalla banca ma poi non stipulato).

IL PROBLEMA DEI TEMPI DI ESECUZIONE DEI LAVORI, CHE NEL SUPERBONUS SONO FONTE DI RESPONSABILITA’ CONTRATTUALE E RISARCITORIA SERIA.

In edilizia i limiti temporali dei lavori nel settore privato, in genere sono segnati da confini piuttosto sfumati, tra cause di forza maggiore, circostanze imprevedibili e termini supplettivi per l’ultimazione delle opere. Con il Superbonus è diverso. Il legislatore non ha previsto possibilità di deroghe alle scadenze e chi le sfora è tagliato fuori dalla maxi agevolazione, con possibili ripercussioni anche sulla regolarità dei lavori svolti, se legittimati solo mediante un titolo derivante da CILA-Superbonus.

Oggi le scadenze, salvo ulteriori proroghe, sono le seguenti: per i condomini e gli edifici plurifamiliari con unico proprietario (2-4 u.i.) il 110% vale fino al 31 dicembre 2023; chi termina i lavori nel 2024 ha diritto a una agevolazione del 70% e chi passa al 2025 del 65%; per le persone fisiche è invece prevista una proroga al 31 dicembre 2022 ma a patto che al 30 settembre 2022 sia completato il 30% dell'intervento. È chiaro che, con questo calendario, se i lavori non procedono spediti o se non partono in fretta, qualunque ristrutturazione rischia di saltare o di dover essere pagata a suon di quattrini dal proprietario.

Alla radice di un ritardo di solito ci sono inadempimenti contrattuali. Per lavori privati diversi da quelli oggetto di superbonus si tratta di una fattispecie gestibile facilmente, non essendoci quasi mai scadenze inderogabili. Pertanto in condizioni normali si poteva concedere proroga, magari applicando qualche penale. Del resto arrivare al compimento dei lavori è interesse di tutti. Ora invece sui tempi, così come sugli importi e sull’efficacia degli interventi, non si può più scherzare

LAVORI INIZIATI E POI BLOCCATI: LE RAGIONI GIURIDICHE CHE I COMMITTENTI PRIVATI E LE IMPRESE POSSONO FAR VALERE

Di fronte al rischio di una impresa inadempiente il committente privato ha essenzialmente solo un’arma, il contratto di appalto che, nel caso del Superbonus, dovrebbe aver regolamentato attentamente i termini di consegna dei lavori, totali e parziali.

In tal senso può essere opportuno verificare, ad esempio, se vi è una “clausola risolutiva espressa”, ai sensi dell’articolo 1456 del Codice civile; in questo modo, al verificarsi di uno o più degli inadempimenti dell’appaltatore come previsti in contratto, il committente potrà decidere di attivare tale clausola inviando alla controparte la sua dichiarazione di volersene valere, a mezzo raccomandata a/r o a mezzo pec, nelle modalità pattuite, con la conseguenza che il contratto si intenderà risolto di diritto. Ciò senza che risulti necessaria la pronuncia della risoluzione da parte di un Giudice e senza dover attendere le tempistiche della diffida e messa in mora. In questa ipotesi la pattuizione preventiva intercorsa tra le parti si sostituisce al controllo del giudice in ordine alla gravità dell’inadempimento.

Il committente potrà tutelarsi verificando nel contratto di appalto quali prestazioni dovranno intendersi da effettuare entro un termine ben definito nel tempo e ritenuto dalle parti espressamente “essenziale”, ai sensi dell’articolo 1457 del Codice civile; in mancanza della prestazione entro il termine fissato (ad esempio esecuzione del 30% dei lavori entro il 30 settembre 2022), il contratto si intenderà risolto di diritto e anche in tale caso non sarà necessaria la risoluzione per via giudiziale, risparmiando così mesi preziosi ed evitando l’alea del giudizio, con i rischi che ne derivano.

È chiaro che, anche laddove non fosse previsto in contratto il suddetto termine “essenziale”, o non fosse stata inserita una “clausola risolutiva espressa” (o più di una), resta al committente la tutela generale prevista dall’articolo 1454 del Codice civile per la quale potrà intimare per iscritto all’appaltatore di adempiere alle sue obbligazioni entro un dato termine preavvisandolo che, in caso contrario, il contratto si intenderà risolto. Laddove l’adempimento non intervenga entro tale termine, che non potrà comunque essere inferiore a quindici giorni salvo casi particolari, il contratto si intenderà anche in questo caso “risolto di diritto”.

Infine occorrerà verificare se il contratto prevedeva una assicurazione, attraverso una polizza per danni conseguenti a inadempimento o comunque a rischi specifici.

Ovviamente anche l’appaltatore ha le sue ragioni ed i suoi strumenti di tutela. Ad esempio potrà sempre valutare o di agire in giudizio nei confronti del committente se non è stato messo in condizione di poter ottenere una valida cessione del credito o laddove ritenga che la colpa sia di terzi (ad es. della banca cessionaria, del Direttore dei Lavori, di fornitori/subappaltatori ecc.). Oppure potrà usare una verosimile eccessiva onerosità sopravvenuta per liberarsi da un contratto capestro ecc.. E’ difficile che l’appaltatore non si difenda nei confronti del committente qualora gli venga contestato un inadempimento, con il fine di rovesciare il quadro delle responsabilità e anche per cercare di allontanare il rischio di una richiesta di risarcimento dei danni che il suo inadempimento può aver causato. È chiaro tuttavia che laddove siano state circostanziate in modo adeguato nel contratto di appalto le clausole di risoluzione e laddove, tanto più, la contestazione venga accompagnata da una perizia giurata che attesti la situazione sul piano tecnico (con riguardo a tempi e modalità di esecuzione dei lavori), l’impresa sarà meno propensa ad opporsi alla risoluzione, poiché aumenterebbe il rischio di incorrere in una sentenza che la condanni.

Di certo laddove i lavori non sono iniziati e non si è ancora ricevuto risposta dalla banca per l’ottenimento della cessione del credito, appare saggio optare per una risoluzione consensuale del contratto di appalto. Ma anche laddove i lavori siano iniziati ed il cantiere sia bloccato per mancata accettazione della banca della cessione è sempre opportuna la ricerca di una soluzione consensuale e quindi stragiudiziale fra impresa e committente privato.

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