Superbonus 110%: soluzioni per le PMI ed i privati committenti, costretti a subire la tempesta perfetta.
LA SINTESI DEL PROBLEMA
AD OGGI.
Le banche non hanno
spazio di manovra per concedere la cessione del credito perché hanno esaurito la
tax capacity, ossia i volumi che possono portare in compensazione con i propri
debiti fiscali. Le imprese non riescono a sostenere le spese dei lavori, anticipando
le somme necessarie per dare esecuzione ai contratti stipulati. I privati che
hanno affidato i lavori vedono le proprie abitazioni con i cantieri fermi e non
sanno se e quando riprenderanno. E’ la tempesta perfetta ed occorre affrontarla
in qualche modo se non si vuole
rischiare che il conto lo paghino – paradossalmente – solo le aziende oneste e
serie che davvero hanno le competenze e la struttura per realizzare i lavori,
nonché i cittadini incolpevoli che hanno fatto affidamento sul credito di
imposta per avviare lavori che – senza la promessa del bonus - con le loro sole
forze economiche, non avrebbero mai avviato.
Il rapporto sulla
politica di bilancio 2022, preparato dall’Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb)
ha fatto il punto su tutti i fondi stanziati finora per il superbonus, a
partire dalla legge che l’ha istituito, il decreto Rilancio (Dl 34/2020). In
totale, si tratta di 33,3 miliardi di euro. E’ accaduto che le previsioni di
spesa per lo Stato sono state sottostimate, visto che le domande risultano già
superiori a quella cifra ed il quadro di incertezza è aggravato dall’assenza
«di un tetto massimo all’onere gravante sul bilancio pubblico». Ma se il tetto
non c’è, le domande possono andare avanti. E non esiste limite sui conti
pubblici. Questo elemento, unito all’assenza di norme che fissassero parametri
certi per le imprese cedenti (il che ha favorito frodi enormi e continue), è
stata una follia giuridica oltre che economica da parte di chi ha scritto all’epoca
la legge sul Superbonus.
Se le piccole imprese non
potranno incassare i 5,2 miliardi di crediti fermi nei cassetti fiscali, si
perderanno 47mila posti di lavoro. L’impatto sull’occupazione nel settore delle
costruzioni, a causa del blocco del sistema, rischia di essere drammatico.
LE NOVITA’ DEL DL AIUTI E
L’IMPATTO SOLO PARZIALE CHE STANNO AVENDO.
La cessione dei crediti
allargata per il superbonus 110% è diventata realtà pochi giorni fa e avrà una
portata temporale ampia, puntando a sbloccare anche cessioni e sconti
comunicate prima dell’entrata in vigore della legge di conversione del decreto
Aiuti. E’ diventato infatti possibile il passaggio dei crediti dalle banche a
tutti i soggetti diversi dai consumatori.
Adesso, la quarta
cessione sarà possibile «a favore di soggetti diversi dai consumatori o
utenti», che abbiano un conto corrente. In pratica, il bacino dei potenziali
acquirenti si allarga, perché potrà acquistare i crediti chiunque eserciti
attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale. In questo
modo, imprese e professionisti diventano destinatari potenziali degli sconti
fiscali e quindi si crea una valvola di sfogo che potrebbe sbloccare un
mercato ormai quasi completamente fermo.
I crediti acquisiti,
infatti, devono essere portati in compensazione. Vanno, cioè, impiegati per
pagare imposte e contributi attraverso gli F24. Le banche, soggetti in fondo
alla catena delle cessioni, quindi, devono avere una quantità di tasse da
pagare che gli consenta di smaltire questa grande massa di crediti. È successo,
invece, che questa capienza si sia andata via via esaurendo, anche per gli
istituti più grandi. È stato necessario, allora, trovare un modo per allargare
la platea dei cessionari e, quindi, la platea fiscale potenziale. Per questo oggi
la cessione è stata resa possibile «a favore di soggetti diversi dai
consumatori».
Un secondo elemento di
novità positivo del Dl Aiuti è quello temporale perché oggetto della cessione è
stato allargato anche ai crediti sorti prima dell’emanazione del Decreto Legge.
Quindi tutte le partite Iva in senso
ampio, comprese imprese e professionisti potranno acquisire i crediti, anche relativi
a spese effettuate nel corso del 2021 e comunque prima del DL Aiuti.
Resta tuttavia aperta la
questione della responsabilità di chi acquista i crediti fiscali del superbonus.
Le Entrate, con la circolare 23/E, nei giorni scorsi hanno spiegato che, in
caso di frode nella formazione del credito, l’acquirente può essere
solidalmente responsabile se non adotta un livello di diligenza che «dipende
dalla natura del cessionario». Il rischio concreto è che l’impresa (o il
professionista) che acquista dalla banca debba ripetere i controlli perché se
ci sono problemi egli ne risponderebbe e quindi non incasserebbe il credito di
imposta. Un’operazione ed un rischio che difficilmente gli acquirenti dei
crediti vorranno accollarsi. E che potrebbe rendere quindi inefficace l’emendamento.
Per sbloccare il mercato dei crediti, sul tema della responsabilità dei
cessionari, andrebbe chiarito in sede di conversione del DL Aiuti che, ad
eccezione ovviamente dei casi in cui vi è una compartecipazione dolosa a una qualche
frode, chi acquista un credito non può essere chiamato a rispondere di nulla,
altrimenti l’auspicato sblocco delle cessioni rischia di restare sulla carta. La
responsabilità solidale dovrebbe esser esclusa almeno per chi acquista dalle
banche (che si presume abbiano già fatto i controlli).
Sul tema della responsabilità
dei cessionari dei crediti del Superbonus la Guardia di Finanza ha diramato ai
propri reparti territoriali il 26.6.22 una nota di istruzioni, Nello specifico,
la responsabilità dell’acquirente sussiste «in tutti i casi in cui quest’ultimo
abbia omesso il ricorso alla diligenza richiesta per evitare la realizzazione
della violazione e l’immissione sul mercato della liquidità di provenienza
illecita». In questo quadro, a intermediari finanziari e soggetti «sottoposti a
normative regolamentari» è richiesta l’osservanza di una diligenza
particolarmente elevata e qualificata. La sussistenza della diligenza dovrà
essere valutata anche sulla base di indici sintomatici della falsità del
credito oggetto di compravendita: ad esempio, l’assenza di documentazione, la
sproporzione tra valore dei crediti e valore dell’immobile, l’incoerenza tra
reddito dei committenti e importi dei lavori, la mancata effettuazione dei
lavori, eventuali anomalie sulle condizioni economiche applicate alla cessione
dei crediti.
COME DIFENDERSI DALLE
BANCHE CHE “RINNEGANO” IL CONTRATTO DI FINANZIAMENTO.
Lo snodo principale è la
validazione delle società di consulenza a cui si sono rivolte le banche per
verificare la correttezza della pratica. È un controllo che garantisce
l’allineamento della documentazione presentata alla copiosa normativa. La
validazione dei consulenti delle banche è uno snodo cruciale. Finché non c’è la
validazione finale, non si arriva al contratto di finanziamento.
La banca, dopo la
validazione dei consulenti, stanzia i soldi per la pratica del bonus; con quel
denaro il cliente pagherà l’azienda edile, otterrà le fatture e, con il credito
d’imposta generato dalla piattaforma dell’Agenzia delle Entrate, andrà ad
estinguere in banca il finanziamento concesso. Oppure se vi è stato sconto in
fattura l’impresa edile potrà direttamente finanziare i lavori con la cessione
del credito ricevuto dal committente privato. Ma che succede se il plafond
fiscale dell’istituto è finito? La banca può bloccare l’operazione? In linea
generale, se si è stipulato il contratto la banca è obbligata e non può tirarsi
indietro per il semplice fatto di avere “esaurito il plafond”. Se invece non si
è giunti alla stipula del contratto di finanziamento, la banca può tirarsi
indietro. Tuttavia occorre verificare – caso per caso – il contenuto del contratto
di finanziamento e la condotta della banca. È importante che non vi siano
ostacoli fra la cessione del credito alla banca e l’estinzione del debito.
Bisogna controllare, ad esempio, se vi siano clausole che consentano
all’istituto di non accettare la cessione del credito o peggio di revocarlo,
ecc..
In secondo luogo, è
chiaro che il contratto con la banca non si può cambiare ma si può sempre rinegoziare,
anche minacciando – ad esempio ed a seconda dei contenuti dei contratti - una
eccessiva onerosità sopravvenuta, oppure il venir meno di una presupposizione
essenziale, ovvero di esser stato indotto in errore, oppure di esser stato
indotto a fare affidamento su una condotta della banca che è invece rimasta
inerte o inadempiente (si pensi al caso di un contratto deliberato
positivamente dalla banca ma poi non stipulato).
IL PROBLEMA DEI TEMPI DI
ESECUZIONE DEI LAVORI, CHE NEL SUPERBONUS SONO FONTE DI RESPONSABILITA’
CONTRATTUALE E RISARCITORIA SERIA.
In edilizia i limiti
temporali dei lavori nel settore privato, in genere sono segnati da confini
piuttosto sfumati, tra cause di forza maggiore, circostanze imprevedibili e
termini supplettivi per l’ultimazione delle opere. Con il Superbonus è diverso.
Il legislatore non ha previsto possibilità di deroghe alle scadenze e chi le
sfora è tagliato fuori dalla maxi agevolazione, con possibili ripercussioni
anche sulla regolarità dei lavori svolti, se legittimati solo mediante un
titolo derivante da CILA-Superbonus.
Oggi le scadenze, salvo
ulteriori proroghe, sono le seguenti: per i condomini e gli edifici
plurifamiliari con unico proprietario (2-4 u.i.) il 110% vale fino al 31
dicembre 2023; chi termina i lavori nel 2024 ha diritto a una agevolazione del
70% e chi passa al 2025 del 65%; per le persone fisiche è invece prevista una
proroga al 31 dicembre 2022 ma a patto che al 30 settembre 2022 sia completato il
30% dell'intervento. È chiaro che, con questo
calendario, se i lavori non procedono spediti o se non partono in fretta,
qualunque ristrutturazione rischia di saltare o di dover essere pagata a suon
di quattrini dal proprietario.
Alla radice di un ritardo di solito ci sono inadempimenti contrattuali. Per lavori privati diversi da quelli oggetto di superbonus si tratta di una fattispecie gestibile facilmente, non essendoci quasi mai scadenze inderogabili. Pertanto in condizioni normali si poteva concedere proroga, magari applicando qualche penale. Del resto arrivare al compimento dei lavori è interesse di tutti. Ora invece sui tempi, così come sugli importi e sull’efficacia degli interventi, non si può più scherzare
LAVORI INIZIATI E POI
BLOCCATI: LE RAGIONI GIURIDICHE CHE I COMMITTENTI PRIVATI E LE IMPRESE POSSONO
FAR VALERE
Di fronte al rischio di
una impresa inadempiente il committente privato ha essenzialmente solo un’arma,
il contratto di appalto che, nel caso del Superbonus, dovrebbe aver regolamentato
attentamente i termini di consegna dei lavori, totali e parziali.
In tal senso può essere
opportuno verificare, ad esempio, se vi è una “clausola risolutiva espressa”,
ai sensi dell’articolo 1456 del Codice civile; in questo modo, al verificarsi
di uno o più degli inadempimenti dell’appaltatore come previsti in contratto,
il committente potrà decidere di attivare tale clausola inviando alla
controparte la sua dichiarazione di volersene valere, a mezzo raccomandata a/r
o a mezzo pec, nelle modalità pattuite, con la conseguenza che il contratto si
intenderà risolto di diritto. Ciò senza che risulti necessaria la pronuncia
della risoluzione da parte di un Giudice e senza dover attendere le tempistiche
della diffida e messa in mora. In questa ipotesi la pattuizione preventiva
intercorsa tra le parti si sostituisce al controllo del giudice in ordine alla
gravità dell’inadempimento.
Il committente potrà
tutelarsi verificando nel contratto di appalto quali prestazioni dovranno
intendersi da effettuare entro un termine ben definito nel tempo e ritenuto
dalle parti espressamente “essenziale”, ai sensi dell’articolo 1457 del Codice
civile; in mancanza della prestazione entro il termine fissato (ad esempio
esecuzione del 30% dei lavori entro il 30 settembre 2022), il contratto si
intenderà risolto di diritto e anche in tale caso non sarà necessaria la
risoluzione per via giudiziale, risparmiando così mesi preziosi ed evitando
l’alea del giudizio, con i rischi che ne derivano.
È chiaro che, anche
laddove non fosse previsto in contratto il suddetto termine “essenziale”, o non
fosse stata inserita una “clausola risolutiva espressa” (o più di una), resta
al committente la tutela generale prevista dall’articolo 1454 del Codice civile
per la quale potrà intimare per iscritto all’appaltatore di adempiere alle sue obbligazioni
entro un dato termine preavvisandolo che, in caso contrario, il contratto si
intenderà risolto. Laddove l’adempimento non intervenga entro tale termine, che
non potrà comunque essere inferiore a quindici giorni salvo casi particolari,
il contratto si intenderà anche in questo caso “risolto di diritto”.
Infine occorrerà
verificare se il contratto prevedeva una assicurazione, attraverso una polizza
per danni conseguenti a inadempimento o comunque a rischi specifici.
Ovviamente anche
l’appaltatore ha le sue ragioni ed i suoi strumenti di tutela. Ad esempio potrà
sempre valutare o di agire in giudizio nei confronti del committente se non è
stato messo in condizione di poter ottenere una valida cessione del credito o laddove
ritenga che la colpa sia di terzi (ad es. della banca cessionaria, del Direttore
dei Lavori, di fornitori/subappaltatori ecc.). Oppure potrà usare una
verosimile eccessiva onerosità sopravvenuta per liberarsi da un contratto
capestro ecc.. E’ difficile che l’appaltatore non si difenda nei confronti del
committente qualora gli venga contestato un inadempimento, con il fine di
rovesciare il quadro delle responsabilità e anche per cercare di allontanare il
rischio di una richiesta di risarcimento dei danni che il suo inadempimento può
aver causato. È chiaro tuttavia che laddove siano state circostanziate in modo
adeguato nel contratto di appalto le clausole di risoluzione e laddove, tanto
più, la contestazione venga accompagnata da una perizia giurata che attesti la
situazione sul piano tecnico (con riguardo a tempi e modalità di esecuzione dei
lavori), l’impresa sarà meno propensa ad opporsi alla risoluzione, poiché
aumenterebbe il rischio di incorrere in una sentenza che la condanni.
Di certo laddove i lavori
non sono iniziati e non si è ancora ricevuto risposta dalla banca per
l’ottenimento della cessione del credito, appare saggio optare per una
risoluzione consensuale del contratto di appalto. Ma anche laddove i lavori
siano iniziati ed il cantiere sia bloccato per mancata accettazione della banca
della cessione è sempre opportuna la ricerca di una soluzione consensuale e
quindi stragiudiziale fra impresa e committente privato.
Contatti:
tel. 080-8807133 (dalle ore 09 alle 13)
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